Sta finendo un anno che cambia le cose in meglio, per quello che mi riguarda, ma lascia anche qualche scia di dolore che mi fa pensare agli amici. Negli ultimi tre giorni ne sono morti due. Persone che non frequentavo da anni o non avevo mai veramente frequentato, che si aggiungono alle altre brutte notizie recenti.
Parlavo oggi col mio amico Roberto, con cui condivido una specie di fratellanza forte, anche se molto virtuale: il nostro piccolo recinto si sta popolando, piano piano, di gente che se n’è andata, con cui si è diviso un piccolo tratto di cammino. Gente che ha acceso la nostra curiosità, con cui abbiamo diviso lo spazio di una cena, di un viaggio, una partita, una serata passata insieme.
Gente mancata all’improvviso, che mai avrei pensato fosse già l’ora di salutare e che mi fa pensare al mio modo di vivere l’amicizia. Vivo tra casa e lavoro, in simbiosi con mia moglie come paguro bernardo, e direi che esco di rado, se non fosse una citazione di Celentano che mi sta poco simpatico.
Nonostante apprezzi e nutra affetto per tante persone resto un po’ orso, poco incline a mettermi a nudo di primo acchito. Non tragga in inganno il mio scrivermi addosso, che già è un faticoso esercizio di tira e molla tra esternazioni e reticenze, frenata l’incontinenza della penna dal ritegno e dalla paura di dire qualcosa che possa ferire qualcuno.
Passo sempre più del poco tempo libero a leggere libri e giornali e a giocare a scacchi (ma on line), e sto da solo perché fondamentalmente mi piace. Però mi sento amico di tante persone, nutro delle aspettative, rimango deluso, mi entusiasmo, mi distraggo proprio quando vorrei accorciare le distanze, tutto in una tempesta interiore, mascherata dalla calma piatta che si vede da fuori.
Mi piacciono tanto i gatti perché mi ricordano me stesso, il mio saltare di palo in frasca, il mio farmi scappare i topi, il mio saper sfruttare fino a un certo punto la ragguardevole dotazione da battaglia. Gli amici che passano e vanno via all’improvviso mi ricordano che il tempo è poco e non sai quando può scadere, e ogni saluto definitivo mi spinge a ricordare qualcosa di chi se n’è andato, un momento, un’immagine archiviata nella memoria. Quella memoria che te la racconti ogni volta diversa, cambiata dal tempo e dall’angolazione che assumi rispetto alla vita, nuova ogni giorno che passa.
L’immaginazione è una ricchezza che esige un prezzo, ha un rovescio fatto di (iper)sensibilità, sembra che niente passi invano e che tutto pesi come un fardello che ti porti dietro. Ma non tutto è vero, non tutto è profondo come sembra: c’è un che di bambino, anche nell’enfatizzare una perdita, nel sovrastimare un’amicizia, nel descrivere una commozione che spesso passa più per le dita che battono sulla tastiera che per lo scorrere delle lacrime. Ingenua e breve, sincera ma effimera.
Il necrologio è una delle attività che tirano di più sui social e molta ironia s’è fatta sulle migliaia di post di cuori affranti, in lutto per la dipartita di questo o quel vip, sinceramente ammirato o incarrato una volta per sbaglio non importa.
C’è quest’ansia di esternare sentimenti che non so quanto sia sana, ma c’è, e la tocchi con mano, vedi il lampo del pensiero che sgorga e ti riporta alla mente un frammento, un’immagine, un suono, un battito d’occhi che saluta chi se n’è andato. Un modo per dire che ciao, io ti ricordo, non ho avuto tempo per te, non ci siamo visti, non sapevo più niente di te ma quando siamo stati insieme mi ha fatto piacere e mi ha lasciato un segno di te, eccolo qua.
Una cosa che non serve a niente e rimane lì senza diventare un elogio funebre. Un modo per guardarsi dentro e ripescare, nel groviglio delle cose inzeppate tra le ossa e le budella, quello che la vita ci regala. Gli incontri, gli sguardi, le parole. E questo mi fa sentire che, orso o non orso, delle cose che mi hanno attraversato ho trattenuto memoria, che mi hanno arricchito tante persone, che il prezzo che ho pagato è stato solo spendere un soldo d’attenzione, assorbendo in cambio umanità, accettando, cercando di sospendere il giudizio, di trovare un tratto in comune, una parola, un movimento, un colore, un’ombra.
So che ci sono amici che non stanno bene, più d’uno, e spero che la loro situazione migliori e che smettano di arrivare queste brutte notizie improvvise. Ma a scrivere queste righe un po’ sconsolate ripenso soprattutto al sorriso di Sonia M., amica lontana nel tempo e nello spazio, eppure viva nel mio ricordo con tanti particolari nitidissimi.
Che la memoria è un dono, anche se può far soffrire.
No, Carol, credo proprio di no
Ciao... conosco gli amici che ci hanno salutato prematuramente?